... dedicato alle scarpe, all'arte, alla moda e alla tradizione calzaturiera che il Museo simbolicamente rappresenta

sabato 14 gennaio 2012

IL DISTRETTO CALZATURIERO FERMANO-MACERATESE


Sant’Elpidio a Mare è uno dei centri più noti della regione Marche non solo per le sue bellezze monumentali ed artistiche, ma anche per la sua vocazione calzaturiera e l'alta qualità dei prodotti realizzati che rappresentano l’Italian Style nel mondo.

La volontà di valorizzare l’enorme patrimonio produttivo e, quindi, di custodire una parte fondamentale della sua storia e delle sue tradizioni, nel 1998 ha trovato il giusto riconoscimento nell’istituzione del MUSEO della CALZATURA, intitolato poi alla memoria del “Cav. Vincenzo Andolfi”, suo ideatore e fondatore insieme all’Amministrazione Comunale.

Il Museo, che conserva ed espone una ricca collezione di scarpe, stivali, macchinari, forme e strumenti per la lavorazione della calzatura, offre dunque al visitatore un quadro assai suggestivo sull’evoluzione della moda, del costume e, soprattutto, di un territorio che si è distinto per l’alta qualità dei suoi numerosi insediamenti artigianali ed industriali che nel corso del tempo hanno dato vita al “Distretto calzaturiero fermano-maceratese”.

Le origini del distretto calzaturiero fermano possono essere ricondotte al XV secolo. Fonti storiche segnalano la presenza di piccole botteghe artigiane, perlopiù limitate alla produzione di calzature destinate ai mercati cittadini, in numerosi centri del territorio dove le corporazioni di calzolai hanno sempre avuto notevole peso, come attestano gli statuti cittadini e quelli delle associazioni di mestiere.

Non è un caso che, in una delle opere più importanti della letteratura italiana, Il Decamerone di Boccaccio, all’interno di una novella si faccia esplicito riferimento alla produzione di calzature a Sant’Elpidio a Mare. 

Le Marche furono inoltre un grande centro di importazione del cuoio dalla Grecia, dall’Albania, dalla Sclavonia (attuale Croazia), e dalla Bulgaria.

Tuttavia, gli studiosi sono per lo più propensi a far risalire l’effettiva nascita del distretto calzaturiero fermano ai primi tre decenni dell’Ottocento.

Originariamente i comuni coinvolti furono Sant’Elpidio a Mare, Montegranaro, Monte Urano e Monte San Giusto. La produzione sviluppata era quella delle chiochiere, ossia le pianelle di stoffa o pelle, prive di tacco, con suola leggera di pelle cavallina, che in un primo tempo vennero prodotte quasi esclusivamente per i mercati regionali; successivamente l’area d’influenza commerciale si estese allo Stato Pontificio e al Regno di Napoli.

Verso il 1870 l’introduzione della macchina a pedale per cucire le tomaie, facilitò l’inserimento della manodopera femminile nella produzione calzaturiera ed estese il numero dei Comuni interessati dalla produzione di scarpe con forme di decentramento extracomunale.

Nei primi anni del Novecento vi fu una riconversione produttiva che portò all’abbandono della produzione delle chiochiere e all’avvio di quella di scarpe di tipo economico.

La vera e propria escalation artigiano-industriale è iniziata nel 1945, contestualmente all’evoluzione del settore agricolo. Decine e decine di migliaia di giovani, abbandonando il lavoro dei campi, si riversano nelle botteghe calzaturiere a gestione familiare che, anno dopo anno, si moltiplicano per il cosiddetto fenomeno di gemmazione, aumentando progressivamente fatturato e occupati.

Il distretto calzaturiero si concretizza però alla fine degli anni ‘60 con l’inizio della produzione industriale di calzature. I fattori all’origine della svolta vanno individuati da un lato nella tradizione artigianale preesistente che ha consentito di trasferire un patrimonio di conoscenze tecniche, professionali e produttive nella nascente industria calzaturiera, dall’altro nella diffusione della mezzadria che ha favorito l’esprimersi dello spirito imprenditoriale e che, con la sua scomparsa, ha direttamente liberato energie produttive per il settore calzaturiero.

Negli anni ’70 le imprese marchigiane si sono trovate così in una posizione di vantaggio, offrendo prodotti qualitativamente e stilisticamente apprezzabili e a costi contenuti. La conseguente crescita della richiesta ha dunque portato alla nascita spontanea di una miriade di piccole e medie imprese.

Un elemento molto importante nella comprensione del fenomeno che ha trasformato la produzione manifatturiera ed artigianale in una produzione industriale e di massa è anche quello che ha riguardato il passaggio dalla lavorazione interna di tutte le fasi del ciclo produttivo all’esigenza di esternalizzare fuori dalla fabbrica un numero sempre crescente di fasi produttive per gestire produzioni complesse e sempre più specialistiche, creando nell’area un indotto di piccole imprese specializzate nelle diverse fasi del ciclo produttivo come ad esempio i tacchifici, i tomaifici. i guardolifici, e cosi via.

Negli ultimi decenni, tuttavia, l’industria calzaturiera marchigiana registra segnali di crisi soprattutto a causa del forte aumento delle importazioni e di una contrazione delle esportazioni.

Le ricette per superare momenti recessivi sono state diverse, costringendo le imprese ad avviare processi di ristrutturazione organizzativa e di investimento.

Se da una parte per accrescere la competitività, un gran numero di aziende ha avviato processi di delocalizzazione della produzione in paesi con basso costo di manodopera; dall’altra molte hanno lavorato per rafforzare sui mercati i propri brand e conquistare quei segmenti di mercato fortemente caratterizzati dalla qualità dei materiali, delle lavorazioni, della rifinitura, ossia puntando sulla qualità, l’innovazione e la creatività: tre ingredienti che hanno reso alcuni marchi marchigiani tra i più noti e famosi al mondo.


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